Mentre le nostre navi (navi militari italiane) e i nostri droni (droni militari italiani) pattugliano da diversi giorni le acque al largo della Libia, ci sorge l’angoscioso dubbio “ma che funzione e ruolo ha la munitissima e attrezzatissima base (militare, italiana, statunitense?) di Sigonella?” La situazione nella terra che fu di Gheddafi è ormai nota a tutti (o quasi) grazie al continuo tam-tam dei mass media nazionali e internazionali: mentre le milizie del Califfato avanzano, c’è una guerra fratricida tra chi ha un minimo di potere istituzionale riconosciuto (che perde e riconquista a furor di cannonate), e altri che quel (minimo) potere non hanno e lo vorrebbero possedere. Tutto ciò mentre sulle coste libiche, controllate dagli jihadisti, si ammassa un milione di disperati che vogliono raggiungere la Sicilia e quindi l’Europa. Le nostre navi (navi italiane) controllano (per ora) a distanza: per intervenire (a favore di chi e perché?) o più semplicemente per osservare (Cosa? Forse la macabra fine di un Paese?).
E allora, ecco l’angoscioso dubbio, quello di non avere compreso nulla sull’oltre cinquantennale presenza della (munitissima) base militare di Sigonella, ufficialmente “italiana”, di fatto, nella pratica, degli “autonomi” Stati Uniti d’America (e sì, perché Sigonella è Naval Air Station Usa). Ma no, siamo in errore: Sigonella è base NATO! Insomma, Sigonella cos’è, a cosa è servita da oltre cinquant’anni, e a cosa sta servendo con il costante potenziamento delle sue attrezzature ad alta tecnologia (leggi, MUOS di Niscemi), con il continuo potenziamento dei suoi mezzi bellici (leggi: Global Hawks in dotazione esclusivamente statunitense) e l’aumento di personale militare?
Gli interrogativi ci sembrano più che leciti: al cittadino comune (fortuna vuole che è indifferente a questi problemi) non vengono fornite informazioni, trattandosi di “questioni militari” tutte attinenti alla “sicurezza nazionale”. Ci chiediamo ancora: perché mandare parte della flotta militare italiana al largo della Libia? Sigonella è fornita di mezzi e strumenti più che adeguati al “controllo” delle acque del Mediterraneo e di altre acque anche più lontane. A Sigonella è di stanza il 41° Stormo dell’Aeronautica militare italiana che ha in dotazione i “pattugliatori” Atlantic Breguet che volano con un’autonomia di undici ore, forniti di apparecchiature elettroniche formidabili, con possbilità di carico bellico. L’originaria funzone di questi velivoli era “antisom” ma, oggi come oggi e anche ieri, la “minaccia” sottomarina non è più avvertita, tant’è che i pattugliatori italiani da tempo stanno in aria sul Mediterraneo principalmente con funzioni di “avvistamento” per il “soccorso” dei barconi di migranti.
Ora, però, al largo della Libia, ci sono incursori della Marina militare, compagnie di fucilieri del battaglione “San Marco”, quattro navi, tra cui unità dotate di attrezzature sanitarie ed elicotteri, aerei senza pilota “Predator” dell’Aeronautica per la sorveglianza dal cielo: fanno parte dell’operazione “Mare Sicuro” per contrastare la minaccia jihadista nel Mare Mediterraneo. Il potenziamento del dispositivo aeronavale era stato annunciato in Parlamento dal ministro della Difesa Roberta Pinotti dopo l’attentato al Museo del Bardo in Tunisia. Paolo G. Brera, con un approfondito reportage pubblicato domenica su “Repubblica.it” spiega senza mezzi termini il significato dell’operazione “Mare Sicuro”: “Giù le mani da Mellitah. Quel nome agli italiani dirà poco e nulla, ma c’è un tubo da 81 centimetri di diametro negli incubi che hanno convinto il governo a varare l’operazione militare “Mare sicuro”. Le bandiere dell’Is sventolano troppo vicine al Gas & Oil complex di Mellitah da cui parte Greenstream, il gasdotto più lungo d’Europa. Affonda nella sabbia sulla spiaggia a sud di Zuwara, a 70 chilometri dal confine tunisino, e riemerge a Gela, in Sicilia, soffiando fino a otto miliardi di metri cubi di gas all’anno: è un gigante che alimenta l’energia di mezza Europa, e visti i rapporti turbolenti con il gas russo è difficile ipotizzare uno scenario peggiore, se i tagliagole dovessero prendere in mano il rubinetto libico. Greenstream – gestito per tre quarti dall’Eni e per un quarto dalla Noc, la Compagnia nazionale libica – è un gioiello ingegneristico realizzato nel 2004 con i tubi Saipem, 520 chilometri affogati nel Mediterraneo fino a una profondità di 1.200 metri, un investimento di 7 miliardi metà dei quali messi dall’Eni: roba nostra, insomma, ma guai per tutti se cadesse nelle mani sbagliate… Dunque, eccoci lì davanti con le nostre navi e i nostri aerei: “Mare sicuro” dovrà proteggere gli interessi italiani tutelando le infrastrutture e gli eventuali connazionali in pericolo…”.
Gli interrogativi che ci ponevamo (e ci poniamo) su Sigonella sono, pertanto, fuor di luogo? E’ probabile, ma se così è, Sigonella che ci sta a fare?